La scrittura autobiografica come mezzo per rivivere, comprendere e trasformare la memoria: con le prime pagine de La mia ombra è un leone danzante siamo di fronte ad una bambina sola ed infelice che odia se stessa a causa della balbuzie ma che a distanza di anni, grazie forse anche al distacco ed alla lucidità della scrittura, ha imparato a perdonarsi, a capire che la colpa non era sua né della sua bocca.

Le prose della Corbu tutte insieme costituiscono il racconto della sua infanzia, delle sue esperienze lavorative e sentimentali e della sua malattia, la forza di questa scrittura è nella sua schiettezza che si esprime con una spinta paratassi, in cui lo spezzettamento e la sofferenza di lei bambina e giovane donna si colgono nel frammentarsi del discorso e del pensiero.

Le sue parole sono scandite quasi in un esercizio di logopedia, mentre il ritmo incalzante e l'uso di anafore trasmettono l'immediatezza delle sensazioni, la loro urgenza e la forza dei sentimenti che vengono tenuti a freno con difficoltà.

La vicenda dell'amore non corrisposto ci porta poi direttamente a fare un tuffo nell'abisso della sofferenza dell'irrealtà di allucinazioni, paure, manie persecutorie raccontate con una lucidità straordinaria e con una mancanza di retorica che si evidenzia nell'uso estremamente parco degli aggettivi. Scatta la trappola della mente e le emozioni non sono più controllabili, tutto quello che la circonda le sembra una enorme messinscena. È interessante come riesca a descrivere come da una condizione di sofferenza “normale” - la vergogna per la balbuzie, l'infelicità di un amore non corrisposto - ci porti all'improvviso a fare un salto nell'abisso dell'irrealtà e della malattia psichica.

La sua scrittura ritmata fa pensare alla letteratura americana ispirata al jazz e al bebop della seconda metà del Novecento.

Lucia Mancinelli, Biblioteca centrale di Napoli