il Manifesto - 4 dicembre 2014

POESIA - La raccolta di versi «La ruggine e il giallo» di Sergej Gandlevskij, per Gattomerlino

L'ordito musicale della quotidianità

Una nuova collana pubblica i poeti vincitori del Joseph Brodskij Memorial Felloship Fund

Stefano Garzonio

La piccola raccolta di versi La ruggine e il giallo (Poesie 1980-2011) di Sergej Gandlevskij inaugura la nuova collana poetica dell'editore Gattomerlino «I poeti della Fondazione Brodskij».
Nella prefazione al libro, Maria Sozzani Brodskij spiega il senso e le finalità della nuova iniziativa editoriale. Nel 1995, con l'apporto decisivo di Josif Brodskij, fu avviato il progetto per la creazione di un'Accademia russa attiva a Roma. Più tardi, dopo la scomparsa del poeta nel gennaio del 1996, e a seguito della nascita a New York del Joseph Brodskij Memorial Fellowship Fund con sede distaccata a Roma, furono istituite speciali borse per poeti e artisti russi, che offrissero loro la possibilità di soggiorni di studio e di lavoro creativo nella capitale e in Italia, presso istituzioni amiche (tra esse, l'Accademia americana, quella francese e la Fondazione Bogliasco), in attesa dell'individuazione di un edificio di proprietà della fondazione.
Nel 2010 è apparsa a Mosca, a cura di Claudia Scandura, una ricca antologia dei lavori prodotti dai tanti vincitori della borsa, i testi letterari dei poeti e le riproduzioni delle opere figurative degli artisti. Fra loro, figuravano poeti come Timur Kibirov, Sergej Stratanovskij, Elena Svarc, Michail Ajzenberg e gli artisti Ol'ga Florenskaja e Vadim Zacharov. Tra i vincitori, c'era anche il poeta moscovita Sergej Gandlevskij, una cernita delle sue poesie; nelle belle traduzioni di Claudia Scandura, inaugura ora la nuova collana. Per il lettore italiano, si tratta di un'opportunità unica, che permette di conoscere il significato artistico e culturale di questa importante iniziativa, non soltanto riguardo al senso culturale e esistenziale che caratterizza il viaggio in Italia per tanti intellettuali russi del nostro tempo.
Sergej Gandlevskij è poeta moscovita, filologo di formazione, autore di versi incentrati sul vissuto quotidiano, rimasti a lungo inediti in patria e apparsi nel cosiddetto tamizdat (poté pubblicare in Russia solo negli anni della perestrojka), quando il loro autore – per sbarcare il lunario – svolse numerose professioni, tra le quali anche quella di guardiano notturno.
Oggi Gandlevskij è uno dei poeti russi più apprezzati, non solo per i suoi versi raccolti di recente in un'ampia antologia (2012), ma anche per la sua prosa. Lo dimostra lo scritto autobiografico Passato senza pensieri (il titolo riecheggia scherzosamente quello del celebre libro Passato e pensieri di Aleksandr Herzen). La breve raccolta destinata oggi al lettore italiano offre uno spaccato articolato e pregnante dell'esperienza poetica di Gandlevskij dagli anni ottanta fino ad oggi o quasi (la lirica La romana è del 2011 e si inserisce a pieno titolo nella ricca tradizione della poesia russa dedicata al viaggio in Italia).
Si tratta di versi che risentono, da un lato, dell'atmosfera culturale degli ultimi anni dell'epoca sovietica, quella della poesia underground e del samizdat tra documentarismo e sperimentazione, ma, dall'altro, anche della riscoperta della fioritura poetica modernista d'inizio secolo. I testi di Gandlevskij sono ricchi di rimandi e riferimenti ai grandi poeti del secolo d'argento (in questa raccolta troviamo versi riconducibili a Mandel'stam, e alle figure di Georgij Ivanov e Vladislav Chodasevic). Dopo gli esordi nell'ambito del gruppo moscovita Moskovskoe vremja (Tempo di Mosca), con A. Cvetkov e B. Kenzeev, Gandlevskij ha saputo sviluppare un proprio metodo poetico, assai originale e innovativo nell'ordito lessicale e intonativo e, allo stesso tempo, classico nella struttura metrico-ritmica costruita su di un fine intreccio musicale pervaso di toni filosofico-meditativi.
Fortemente orientata verso la quotidianità, ricca di forme colloquiali, la lirica di Gandlevskij si concentra sul tema della caducità della vita terrena e su quello della morte, cui si oppone il verso poetico, uno strumento di lotta temprata in tutta la sua fragilità e audacia. Poesia come resistenza e sfida.
Lo si evince già in Stanze (1987), testo programmatico che apre la piccola raccolta proposta da Claudia Scandura: «Dopo la morte uscirò dalla città che amo, / E sollevato il muso al cielo, buttate alle spalle le corna, / invaso dalla tristezza, strombazzerò nello spazio autunnale / quello che non riuscivo a esprimere con parole umane».

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